venerdì 7 settembre 2012

Medioevo

In epoca romana la seta era quasi sconosciuta, e solo nei primi secoli dell'era cristiana, quando cominciarono gli scambi con l'Oriente, i sontuosi tessuti cinesi di seta arrivarono in Europa. I costumi medievali, poveri e severi, non permettevano certo che lo sfarzo orientale si diffondesse fra il popolo, ma la classe sacerdotale e la corte imperiale, specialmente quella dell'imperatore Giustiniano (VI secolo) approfittarono largamente di quanto di più lussuoso offriva il commercio con l'Oriente. Pare che il baco da seta sia stato introdotto in occidente, dalla Cina, in quel periodo e alcune città dell'Italia meridionale e della Sicilia divennero centri di allevamento di bachi da seta,naturalmente, legate all'allevamento del baco, fiorirono le industrie collaterali di filatura, tintura e tessitura.
Queste attività, ancora artigianali, ma estremamente raffinate, erano in mano a diversi gruppi di Ebrei; Rispondendo alla richiesta sempre più pressante dei nuovi prodotti, alcuni gruppi di tintori e tessitori Ebrei si spostarono dall'Italia meridionale (Amalfi, Gaeta ecc.) alla Toscana. Da quel momento ebbe inizio la storia dell'industria tessile Toscana che, con periodi più o meno fortunati, è durata fino ai nostri giorni.




Attorno all' VIII secolo a.C., i Greci colonizzarono le coste italiane e le isole vicine: arte, industria, artigianato, commercio ecc. ebbero un grandissimo sviluppo. E' particolarmente interessante seguire la storia dell'arte della tintura. I greci introdussero in Italia le esperienze dei fenici, dei cretesi, e degli egizi, popoli maestri nell'arte tintoria. Dobbiamo qui ricordare che il mondo greco era ,a differenza di quanto si creda , un mondo di colori. Le sculture i bassorilievi che sono giunti fino a noi rivelano che in realtà spesso si trattava di sculture policrome. Niente di più errato pensare al Partenone  o alle statue Fidia come a qualcosa  solo e unicamente color del marmo con cui sono stati costruiti.
I greci , non avrebbero mai  scolpito, per esempio nel marmo del peloponneso che aveva  fasce e strisce più o meno grigie. Lo faranno i Romani e successivamente i Bizantini , di bocca più buona ,scopiazzando statue,bassorilievi e quant'altro senza guardare troppo per il sottile utilizzando quello che era a portata di mano. Ma i Greci  no. I Greci cercavano l'assoluto  e quindi preferivano  il marmo pario o il pentelico e se trovavano una macchia tagliavano il pezzo e inserivano un tassello, ma questo anche  per una ragione pratica e artigianale : l'aganosis , ovvero la lucidatura con cera con cui gli artisti greci rifinivano le statue , per renderle liscie e lucide come l'avorio e per poi dipingerle.
La maggior parte dei  lavori  in scultura del periodo classico sono policromi a sfondo bianco 

Ma torniamo ai colori e ai tintori dell'Enotria… Taranto divenne famosa per l'applicazione della tintura con la porpora e con l'oricello (Roccella Tinctoria), già conosciuto a Creta e presso i Fenici. L' oricello è un lichene che veniva usato insieme alla porpora per abbassarne un pò il costo.
Gli etruschi, che avevano rapporti commerciali con i greci e i fenici, impararono a usare la robbia (Rubia Tinctorum), lo zafferano, il pastello o guado, e l ‘Isatis  Tinctoria che serviva per tingere in azzurro ed era comune nel bacino del Mediterraneo e nel nord dell'Europa, prima dell'introduzione dell'indaco indiano.

Nell'antica Roma i costumi erano molto severi e fino al vi secolo a.C. le vesti dei cittadini romani erano del colore naturale della fibra con cui erano tessuti. I rapporti commerciali e politici con gli etruschi e con i greci, portarono a una maggiore raffinatezza dei costumi e alla ricerca del colore e del lusso. Nella Roma di Plauto, 251-184 a.C., i tintori erano addirittura suddivisi a seconda della tintura in cui erano specializzati, così, a esempio, i Violarii tingevano in viola, i Crocearii tingevano in giallo e le Officinae Purpurinae erano adibite esclusivamente alla tintura con la porpora . A Pompei sono ancora visibili dei resti di tintorie che risalgono al 79 d.C., l'anno dell'eruzione del Vesuvio che distrusse la città, e in questi laboraton si sono trovati resti di vari coloranti. Il kermes, di cui abbiamo già parlato, era usato a Roma per ottenere il rosso; altre piante comunemente usate dai romani erano: la malva, che dava un certo tipo di azzurro, la reseda, la curcuma e la ginestra per ottenere i gialli, la noce di galla, il mallo di noce ecc. per i bruni e i neri. Come mordenti si conoscevano i solfati di rame e di ferro, l'allume di rocca e la ruggine sciolta in aceto ( acetato di ferro ). La fibra tessile più usata e più diffusa, oltre al cotone, al lino e, a volte, alla canapa, era la lana.

L'oriente

La Cina e tutti i popoli dell'Estremo Oriente conoscono la seta da tempi antichissimi. In manoscritti che risalgono al in secolo a.C. si sono trovate delle notizie su come coltivare il baco da seta, filare e tingere la seta stessa. In Cina come coloranti venivano usati il cartamo (gialli e rossi), il somacco (giallo), il mirtillo (blu e lillà), l'indaco, che era utilizzato in vari modi, e di tanti altri coloranti non sappiamo ancor oggi come venivano utilizzati o da quale pianta, insetto o minerale venivano ricavati. Per molti secoli l'arte della seta, dalla coltivazione del baco al tessuto finito, è stata una prerogativa delle corti imperiali. I segreti della tintura erano tenuti da pochi tintori abilissimi che vivevano nei recinti dei palazzi imperiali e non potevano divulgare nessuna notizia in proposito. Le materie coloranti venivano usate fresche, ma sappiamo che venivano anche conservate con metodi a noi sconosciuti. In Giappone, per tingere la seta, si ricavavano i colori anche dalle alghe marine, anzi questa era una specialità del popolo giapponese, amante delle tinte tenui e raffinate. I filati per i più bei kimono erano tinti con alghe, usando il metodo delle legature di cui abbiamo parlato a proposito dell'India.

In Giappone, con questo metodo, tingevano la sottilissima seta, così i tintori e i tessitori giapponesi, lavorando in perfetto accordo, riuscivano a ricavare sui tessuti dei meravigliosi disegni a più colori. In questa rapida panoramica sulla tintura nel mondo antico, non possiamo ignorare l'America dell'epoca precolombiana e gli abilissimi tintori indiani dell'America settentrionale. Nell'America centrale toltechi, maya e aztechi e nell'America meridionale gli incas ,erano così avanzati nell'arte della tintura che,dopo la conquista spagnola hanno rivoluzionato le millenarie tecniche tintorie dell'Europa.

In Perù si sono ritrovate stoffe di raffinata fattura, risalenti al 2500 a.C. in lana, in cotone, in alpaca, in vicuna dai colori nero, violetto, azzurro di indaco (ma diverso da quello indiano), rosso di cocciniglia (un insetto parassita del cactus: Dactilopius Coccus Cacti), i bruni ottenuti da radici, i gialli dal legno di piante locali. Molte di queste materie coloranti sono state largamente diffuse in Europa dopo i viaggi di Cristoforo Colombo, alla fine del 1400.

Gli indiani dell'America del Nord tingono e conciano le pelli usando ancor oggi piante locali e seguendo le segrete ricette tramandate dai progenitori. Particolarmente interessanti sono i totem di legno dipinti a vivaci colori e i bellissimi cesti che gli indiani intrecciano con grande abilità.

Medio oriente e Fenici

II Medio Oriente ha una storia antichissima e ricchissima. Nelle terre bagnate dall'Eufrate e dal Tigri si sono succedute le più importanti e le più ricche civiltà antiche dal 4000 a.C. in poi: i Sumeri, gli Accadi, i Babilonesi, gli Assiri, i Caldei i Persiani e sulle coste del Mediterraneo i Cananei che poi diverranno i Fenici. Tutti questi popoli sono stati maestri nell'arte della tessitura e della tintura,ma, mentre gli Egizi amavano la semplicità delle vesti di lino, fatte a piccole pieghe e tinte con pochi e sobri colori, nei Babilonesi troviamo il gusto dallo sfarzo, la ricchezza dei colori, la pesantezza delle vesti ricche e infiocchettate.
Questi popoli erano grandi allevatori di pecore e montoni da cui ricavavano la lana fibra facilissima da filare , da tingere e da tessere. I colori vengono assorbiti molto bene dalla lana e rimangono vivaci e lucenti, e i Babilonesi e i Caldei sfruttavano sapientemente queste proprietà della lana. Quasi sempre tingevano la lana in fiocco, cioè non ancora filata, poi durante la filatura e la tessitura i colori venivano mescolati mirabilmente.

Anche nella Bibbia si parla spesso di tessitura e di tintura, vi sono descrizioni di tessuti,di vesti e di città particolarmente ricche di tintorie e di telai.E anche per gli ebrei la tintura doveva essere molto costosa, infatti dai reperti archeologici riguardanti le antiche tintorie possiamo vedere come vi fossero degli accorgimenti, speciali vasche e contenitori, che permettevano di recuperare anche la più piccola parte del liquido colorante. Probabilmente gli Ebrei tingevano in matassa e non in tessuto e questo si può dedurre dalla forma e dalle dimensioni delle vasche nelle tintorie. I coloranti più comuni e particolari erano il kermes (Coccus Ilicis), un parassita della quercia, da cui si otteneva il rosso ; la Porpora fenicia, carissima ma molto bella, che dava il color porpora e il violetto; le galle di quercia, il mirtillo e il bitume del mar Morto da cui si ottenevano i neri.

I più famosi tintori del mondo antico mediterraneo furono i Cananei, detti più tardi Fenici. Questo popolo attivissimo ha la fama di aver scoperto la tintura con la porpora, una delle più alte realizzazioni della chimica tecnologica del mondo antico, tra il 1450 e il 1400 a.C. Anche se non fossero stati proprio i Fenici a scoprire la porpora, ma altri popoli, i Cretesi a esempio, certo è merito dei Fenici di aver saputo ben utilizzare la porpora, sia industrialmente sia commercialmente, e di aver tenuto segrete le ricette per molti secoli. Essa era così famosa da dare il suo nome alla regione comprendente la Palestina e la Siria, in quanto‘'Canuan‘'originariamente significava appunto "Terra della porpora. " Questa gente, fuggita dal Golfo Persico seguito ad un terremoto s'era stabilita lungo la costa mediterranea orientale dove aveva fondato le città di Tiro e Sidone. Nel secondo millennio passò sotto l'influenza e, in certi periodi, sotto il dominio dell'Egitto: dominio che venne sconvolto dall'invasione degli Ittiti (1198-1166 a.C.), apportatori di rinascita del popolo fenicio, destinato a diventare la prima nazione marinara del Mediterraneo.

Quantunque la cultura Cananea sia stata presa a prestito quasi per intero dai popoli dell'Egitto, della Mesopotamia e dell'Egeo, nondimeno i Fenici compensarono con un lusso favoloso ciò che mancava loro in fatto di capacità creativa ed in originalità  ed erano indubbiamente eccellenti artigiani nella produzione di svariatissimi articoli, tra i quali gli elaborati componenti dell'abbigliamento. Come si sa la porpora si ricavava estraendola con un laborioso processo lavorando la secrezione estratta dalle conchiglie di alcuni molluschi marini, particolarmente il Murex Trunculus; il Murex Brandaris, la Porpora haemastoma ed altri simili. Questi gasteropodi hanno una vescichetta contenente un liquido giallastro, che al contatto  con l'aria diventa rosso. Ricavare il rosso da questi animaletti non era facile: la quantità di colorante era minima e andava utilizzata subito.

I Fenici, che allevavano i Murex sulle coste del Mediterraneo, avevano fatto di Tiro e di Sidone i due maggiori centri di commercio dei manufatti tinti con la porpora. Probabilmente il bisogno di nuovi spazi per la coltura dei Murex aveva spinto i fenici ad allontanarsi sempre più dalle loro terre e a creare dei nuovi centri commerciali in tutto il Mediterraneo e oltre. La porpora è una tintura carissima e ormai introvabile, ma i fenici sapevano sfruttarla molto bene:

………Le sue mani puzzano ed hanno lo stesso odore del pesce putrido . I suoi occhi sono fortemente marcati alla stanchezza…

Così nel papiro Anastasy , un opera poetica dell'anno 1400 a.C viene descritto il tintore che lavorava con la porpora.

Oltre a tingere in porpora pura, anche con due tinture sovrapposte per dar maggior ricchezza al tessuto, sapevano rendere la tintura di porpora meno cara ,  facendo una base di leggera porpora e una seconda tintura con delle materie coloranti più correnti, come lo zafferano, il mirtillo o il kermes e ottenendo delle tinte che spaziavano dall'arancio al vermiglio, al viola. Buoni clienti dei Fenici erano i sacerdoti ebrei, come ci si può render conto dalle testimonianze delle Bibbia. Dell'alta considerazione goduta dagli artigiani fenici si ha un eloquente saggio nella lettera che Salomone, accingendosi a costruire la casa del Signore, diresse ad Iram, re di Tiro :

"Mandami un uomo valente, capace di lavorare l'oro, l'argento, il rame, il ferro, la porpora, lo scarlatto, il giacinto, e che sappia fare lavori d'intaglio valendosi degli artefici che sono con me in Giudea ed in Gerusalemme, raccolti da Davide, mio padre".

Si capisce bene che Salomone per la sua prestigiosa impresa aveva bisogno di un vero e proprio direttore dei lavori dotato di una sicura conoscenza dei vari rami della tecnica. Iram poté soddisfare la richiesta e rispose:

"Ti ho mandato un uomo potente e di grandissima capacità, figlio di una donna delle figlie di Dan e di un padre di Tiro, il quale sa lavorare in oro, in argento, in rame, in ferro, in marmo, in legno ed anche in porpora, in giacinto, in bisso, in scarlatto; sa fare ogni sorta d'intagli ed inventare ingegnosamente tutto quello che occorre per qualsiasi lavoro".

Miglior ritratto di un industre Fenicio non avremmo potuto immaginare . Ma questo espertissimo le cui doti venivano così altamente magnificate non doveva essere un'eccezione nel mondo fenicio. Sappiamo infatti che altri importanti clienti degli abilissimi artigiani fenici erano i Persiani, specialmente quelli della dinastia Achemenide, amanti del lusso e dello sfarzo. Ma anche in Persia non mancavano bravi praticanti di varie arti e la loro consumata arte tintoria è stata  tramandata alle innumerevoli generazioni di creatori di stupendi tappeti. E' da credere che la specialissima rossa tintura persiana eseguita col chermes non venisse applicata solo sulle fibre tessili, ma anche sulle pelli destinate a confezionare parti del raffinato corredo d'abbigliamento.
Anche la cultura araba ha lasciato  un importatnte   codice dell'arte tintoria L'opera di Ibn Badis fornisce indicazioni pratiche per l'estrazione di materie coloranti dalle loro fonti naturali. Per esempio il verde si otteneva dalla parietaria (Parietaria officinalis L ) detta in arabo hurraq, o da aghi di pino sospesi in vecchio vino e poi immersi nel liquido quando si notava il viraggio del bagno al color bluastro. Il colore verde si applicava sui manufatti allo stesso modo del giallo, in miscela con allume. Il colore nero si produceva dalla reazione di aceto con ruggine di ferro. Le tinte gialle aranciate si ottenevano con l'estratto di cartamo (Carthamus tinctorius

venerdì 31 agosto 2012

Tintura egizia

Si deve al suo clima secco e quasi privo di piogge alla sabbia asciutta del suo deserto , se in Egitto si sono conservati quei resti del passato che ci permettono oggi di sollevare un lembo del velo della sua antichissima storia. Un passato che ci parla anche del mondo del colore: quasi sempre
infatti i monumenti (le statue, i templi le abitazioni o le tombe) erano abbellite di decorazioni di colore che fanno pensare ad un culto vero e proprio.

La decorazione del tempio per mezzo del colore deve essere eterna come eterni sono gli Dei. Ma nel campo dei tessuti, vista la caducità del materiale stesso, solo pochi reperti sono stati rinvenuti, perlopiù risalenti al vestiario di mummie del 2500 A.c. 
Qui troviamo gli Egizi del Medio Regno, maestri nell'arte della tintura. Come abbiamo già detto, il cotone, ma soprattutto il lino era la fibra più comune in Egitto, perché cresceva facilmente sulle sponde del Nilo, ma la lavorazione e la tintura del lino non erano facili e presupponevano conoscenze
particolari e grande esperienza
Inoltre riporta Erodoto che gli egizi ritenevo essenzialmente puri i manufatti di cotone e di lino mentre per quelli di fibra animale come la lana tale era la sentenza : 
‘’..con abiti di lana non è permesso entrare nei templi , con abiti di lana non si viene nemmeno sepolti. ‘’
Si deve agli egizi il primo vero ‘’codice’’ o manuale che dir si voglia, che riguarda la tintura delle fibre tessili : il papiro Holmiensis o codice di Stoccolma o se si vuole papiro di Leiden o Leidensis. (Sono la stessa identica cosa.)
Fu scoperto per caso nel 1828 nelle vicinanze di Tebe. Scritto in greco arcaico e risalente forse al III° sec a.C, rimase poi per anni sepolto in qualche baule finche alla fine del XIX secolo non fu donato alla Regia Accademia di Stoccolma da un certo Jhoann D’Anastasy, in quel tempo console generale ad Alessandria. E da qui il nome di papiro di Stoccolma.
Non era un papiro nel senso classico del termine ma una serie di fogli rilegati tra loro a forma di libro da qui la definizione di ‘’codice’’. Fu tradotto per la prima volta nel 1906 da un filologo : Otto, a cui dobbiamo le prime notizie storiche scritte sulla tintura dei manufatti tessili in Egitto e delle 152 ricette trascritte : 9 riguardano i metalli , 73 le pietre preziose e 70 le tinture dei tessili.
Quel che sorprende di questi papiro è che è praticamente esente da influenze mistico- magiche, quali si sarebbero potute supporre visti i tempi.
Non mancano certamente termini difficilmente decifrabili come per esempio ‘’sangue di colombo’’ che può essere un nome fittizio per il minio o anche il cinabro.
Ma se ben si pensa anche nella nostra lingua moderna non ci sono forse nomi fantasia come ‘’ sangue di drago’’’ o ‘’occhio di gatto ‘’?...... Dalla gamma di coloranti ( il nome generico è indicato col termine greco pharmakon ) viene messo in rilievo il guado per la colorazione azzurra, qui chiamato col nome di Isatix o Anthrax e viene fatta perfino una descrizione dettagliata delle qualità e dei metodi per ricavare il guado .
Per contro non viene neppur menzionato l’indaco da esso fornito e si parla di ricette per tingere con bacche di chermes , robbia (riza) e oricello e di altri agenti tintorii importanti come la radice d’Alcanna, della Buglossa il cui tono rosso porpora è stato usato fino a tempi recenti nella cosmetica e dell’ arbusto di Henna che fornisce un colore giallo aranciato che era altrettanto conosciuto agli Egizi perché lo avevano incominciato a importare da Cipo, via mare, già a partire dal 1300 a.C
Ma la maggior parte delle ricette parlano della tintura con la porpora, colorante costosissimo a quei tempi , (ma attenzione!) Non considerano l’uso della porpora vera e propria ( che si otteneva dal Murex Brandaris e da altri tipi di Murex, molluschi della famiglia dei Gasteropodi e che era pressoché monopolio dei Fenici, ma bensì i modi e i trucchi per ottenere tramite tutti i mezzi di tintura possibili, frutto di anni e decenni di sana pratica, una ottima o buona imitazione
della porpora !!!.
Niente di nuovo sotto il sole. 

Per esempio utilizzavano un lichene denominato Kosthos o Kisthos e aggiungendo oricello e aceto ottenevano un colore porpora molto solido alla luce,oppure dopo che in tessuto era stato mordenzato con ruggine ed aceto , cioè con acetato di ferro , si cercava di produrre toni porpora con oricello , schiuma di indaco,radice di Alcanna e bacche di chermes.Si parlava con fierezza del tono porpora ‘’genuino’’ ottenuto in questo modo e si tentava di denigrare la tintura importata da Tiro definendola spregiativamente con l’attributo di ‘’barbara’’ .
Ed infine riguardo a questo papiro ,come non parlare di Ostanes, in questo papiro più volte menzionato, sacerdote priore del tempio di Menfi custode dall’arte segreta di tingere ,che può essere considerato come un progenitore della tintura e della sua divulgazione. A lui è attribuito l’aforisma :
‘’la natura si serve della natura La natura si compiace della natura, la natura soggioga la natura’’
Una curiosità : Tra i discepoli di Ostanes tra il 300 e il 250 a.C ci fu anche un una discepola Ebrea di nome Maria che viene anche lei qui menzionata perché avrebbe scritto un libro a sua volta sui metalli e sulla tintura della porpora.
Gli egizi avevano importanti giacimenti di allume di potassio che sapevano usare come mordente: mordenzando con allume, ottenevano un bei rosso di robbia. Altri mordenti comuni erano l'urina, il succo di limone e quello di altre piante. I colori venivano ricavati da diverse piante comuni in Egitto e in Medio Oriente, come l'hennè (Lawsonia Inermis) con cui si tingevano bene sia il lino sia la lana e che veniva anche usato in cosmesi. Questo colorante, infatti, ancora comunissimo nell'Africa settentrionale e in Medio Oriente, ancora oggi serve per la tintura del capelli e della barba.
Dai fiori di cartamo (Carthamus tinctorius), o zafferanone, venivano estratti due colori. Il primo, giallo, solubile in acqua, si otteneva lasciando a bagno i fiori, o agitandoli nell'acqua; il secondo, rosso, era molto più pregiato, ma, non essendo solubile in acqua, aveva dei tempi e dei modi di lavorazione molto più complessi.
Il rosso di cartamo proveniente dall'Egitto era il migliore del mondo. I gialli più belli erano ottenuti dallo zafferano (Crocus Sativus), e dalla Curcuma (Curcuma Longa). Il giallo-zafferano proviene dagli stimmi dei fiori di Crocus ed è molto solido e brillante, mentre il giallo della curcuma si ottiene dal rizoma polverizzato di questa pianta e da un colore bellissimo, ma poco solido. Nei mercati dell'Africa settentrionale, del Medio Oriente e dell'Oriente si trova la polvere di curcuma, che oggi viene usata quasi esclusivamente in cosmesi; si aggiunge all'acqua del bagno e serve per ammorbidire la pelle e renderla delicata.
II colore azzurro veniva estratto in Egitto, come del resto in tutto il mondo antico, da alcune specie di Indigofera (Indigofera Tinctoria, Argentea ,ecc.), o di Isatis Tinctoria. 
Tutte queste piante non danno direttamente l'indaco: il colore azzurro si ottiene con vari processi di fermentazione delle foglie e di ossidazione.
Tutti questi azzurri di indaco sono colori solidissimi e tingono qualsiasi tipo di fibra, sia animale che vegetale, ma la gradazione e l'intensità del colore varia a seconda del processo di estrazione e della qualità della pianta. Gli Egizi, inoltre,conoscevano diversi blu e in particolare il blu lapislazzulo e un blu turchese di cui ancor oggi non si conosce l'esatta provenienza. Mescolando sapientemente i tre colori base, il rosso, il giallo, il blu, si ottengono tutti gli altri colori, ma negli egizi non troviamo il gusto dei colori composti. Nelle pitture delle tombe egiziane i vestiti hanno spesso una caratteristica particolare, hanno diverse gradazioni della stessa tinta, dal rosso al rosa, cioè,dall'ocra al giallo. 

Tintura nella preistoria

L'uomo primitivo ha cominciato con l'utilizzare le pietre colorate e le argille per disegnare sulle pareti delle caverne la realtà che lo circondava. Le grotte della Spagna e della Francia, come quelle di Altamira e di Lascaux, risalenti all'epoca paleolitica (attorno al 25.000 a.C.), sono ornate di meravigliosi disegni tracciati con polvere di carbone, carbonato di calcio, crete e ocra, diluiti in sostanze grasse o succhi vegetali. Probabilmente solo in un secondo tempo l'uomo è riuscito a tingere delle fibre naturali, cioè a riportare su lana e su lino i colori che venivano ricavati dalle argille e dai vegetali.Sappiamo comunque che nell'epoca neolitica (3000 a.C.) l'uomo si era socialmente organizzato in gruppi e, dal nomadismo, era passato alla vita sedentaria e produttiva del villaggio.Si sono trovati interessantissimi resti dei villaggi costruiti su palafitte, nella pianura padana e soprattutto a Ledro, nel Trentino. In questo periodo abbiamo le prove che la filatura e la tessitura erano fiorentissime, e che, parallelamente a queste arti, si era sviluppata la tintura.  Anche in Austria, vicino a Salisburgo, si sono trovati resti di villaggi costruiti su palafitte e la particolare natura del terreno, ricco di sali, ha permesso la conservazione dei tessuti e dei colori che sono poi stati analizzati. Si è trovato anche un colore verde, ricavato da azzurro di guado e giallo di uva ursina, che rivela tecniche abbastanza avanzate e una buona conoscenza dell'arte della tintura.
L’uomo preistorico, come gia detto in precedenza, conosceva bene sia i coloranti minerali, come è testimoniato da reperti quali la ceramica dipinta e i ciottoli ornati, sia dalle analisi sulle pitture parietali, che i coloranti vegetali. Questi ultimi sono meno attestati in quanto più facilmente alterabili e si degradano molto rapidamente nel suolo.
Studi paleobotanici testimoniano la presenza di piante e frutti tintori in molti siti: questi potrebbero essere stati usati come alimenti, lettiere, combustibile o medicinali. Ma sicuramente fili e tessuti, corde, intrecci e stuoie erano tinti: non è pensabile che ceramiche ed ornamenti fossero vivamente colorati e che nello stesso tempo i tessuti non lo fossero. Basta pensare alle pitture parietali del Paleolitico Superiore, oppure alla varietà incredibile di colori dei tessuti tribali moderni. La stessa complessità tecnica raggiunta nella fabbricazione dei tessuti doveva ricevere ancor più risalto dal contrasto dei fili tinti con diversi colori.
I coloranti venivano ricavati dalle essenze spontanee, piante ed alberi, le cui proprietà tintorie erano state riconosciute attraverso la raccolta per l’alimentazione e per le altre attività della vita quotidiana.
Il filato veniva dapprima trattato con alcune sostanze chiamate mordenti, per pulire bene la fibra, rendere la tinta insolubile nell’acqua e così fissarla tenacemente: questa operazione si chiama mordenzatura. Sulla base di confronti etnografici e storici, potevano essere usati a questo scopo l’urina, umana o animale, l’acqua salata, l’argilla, l’allume e la cenere, soprattutto quella di piante come la saponaria e la consolida. Altri mordenti vegetali sono il tannino, ricavato da corteccia di quercia, salice, nocciolo, galle della quercia, liquidi di fermentazione di frutti e bacche. Il tannino e le galle potevano essere utilizzate anche per la concia dei pellami. Il filato veniva poi tinto macerandolo in acqua calda o fredda insieme alla pianta sminuzzata.
Il colore ottenuto dipendeva da vari fattori: dalla parte della pianta che veniva usata, dal tipo di mordenzatura, dal procedimento seguito, dal tipo di recipiente usato durante le operazioni, dalla fibra stessa, con tutta la gamma di sfumature possibili all’interno di una stessa tinta.

Con la scoperta della lavorazione dei metalli , prima il rame poi il bronzo e infine il ferro , che hanno modificato profondamente tutta la vita dell'uomo primitivo, i metodi di filatura, tessitura e tintura sono radicalmente cambiati, e da questo momento si può ricostruire la storia dell'artigianale tessile e tintorio con maggior precisione.       


martedì 24 aprile 2012

Proverbi e citazioni.

Modi di dire e Proverbi

Cattiva è quella lana che non si può tingere.

Tingere il viso e le labbra al padrone: espressione usata nel mondo latino per indicare quando il padrone veniva deriso dai suoi schiavi.

Essere un tintore: espressione usata per indicare chi non paga i propri debiti.


"Fatti che nel ricordo si tingono di melanconial’attesa si tingeva di speranza": facendo riferimento a stati d'animo che si mescolano e fondono con altri, conferendo a questi una particolare impronta.

Citazioni
"Ogni filosofia si colora nelle tinte di qualche esperienza immaginaria e segreta, che mai si esprime esplicitamente nel procedere del ragionamento."
(Alfred North Whitehead)
"Avevo tanti impegni, ma ho deciso di restare a casa a tingermi le sopracciglia."
 (Andy Warhol)
"Chiedi alla luce se una gemma è pura, se ben tinta di porpora è una lana; al giorno chiedi se una donna vale."
(Publio Ovidio Nasone)
"Viaggiare è un pò come tingere la propria vita dei colori del mondo."
(Youness Khalki)

"Noi che tignemmo il mondo di sanguigno."

"Una medesma lingua pria mi morse, Sì che mi tinse l’una e l’altra guancia."
           (Dante Alighieri)


         "Il sole al tramonto tingeva il cielo di rossouna pura Luce che, mista allo
            splendor del sole, Tinge gli aerei campi [= i cieli] di zaffiro."
         (Foscolo): Facendo riferimento ai colori assunti naturalmente dalle cose.

            "Di santo sdegno il pio guerrier si tinse nel volto".
            (T. Tasso)

             Il colore è da sempre un'arte della
             memoria,
             che differisce da una società all'altra
             e si trasforma nel tempo.
             Il colore è l'organigramma della vita
             sociale
             ed è ciò che serve a classificare ad
             associare, a opporre,a designare ,
             ma è anche ciò che serve a sognare.











Etimologia e definizione.

Etimologia e definizione della parola Tingere

tìngere (ant. tìgnere) v. tr. [lat. tĭngĕre] (io tingotu tingi, ecc.; pass. rem. tinsi,tingésti, ecc.; part. pass. tinto)]. 

Fare assumere a qualche cosa un colore diverso da quello che aveva in origine, immergendola in un bagno di colore, o anche sovrapponendo uno strato di colore, per lo più uniforme: t. la lanala setaun tessutouna pezzaun abitoun cappotto,un paio di scarpet. di rossodi verdedi blu, o in marronein nerofaremo t. di celeste le pareti della cucinasostanze per t. il vetro. In partic., tingersi i capellila barba, con apposite tinture per cambiare il colore naturale o per nascondere la canizie; tingersi le labbra, col rossetto; con sign. analogo il rifl. tingersi, usato assol., truccarsi, colorare le labbra, le guance, le ciglia con opportuni cosmetici, oppure darsi abitualmente una tintura per i capelli o la barba.


tintura s. f. [lat. tinctura, der. di tingĕre «tingere», part. pass. tinctus].




Le arti che utilizzano materie coloranti
sono antichissime e risalgono alle
origini dell'umanità e traggono le loro
materie prime dalle infinite varietà del
mondo vegetale, animale e minerale.
La pratica di creare o di riprodurre
colori è tanto nota quanto diffusa ed
attuata da millenni a scopi artistici,
rituali, ornamentali, cosmetici ed
alimentari.
Nel corso dei secoli si sono poi coniate
le espressioni di Pittura e di Tintura,
intendendo per la prima l’arte del
rappresentare per mezzo di linee e
colori e per la seconda l’applicazione
di coloranti su una qualsiasi superficie
per darle un colore diverso a quello che
ha .
Sarà di questa che ci occuperemo .

Vocabolario:

Italiano: Tingere; 
                                 Bandiera Italia

Francese: Teindre;
                                 Bandiera Francia

Inglese: Dye;
                                 

Tedesco: Färben; 
                                 Bandiera Germania

Russo: красить;
                                 Bandiera Russia

Spagnolo: Teñir; 
                                 Bandiera Spagna

Cinese:  染色
                                 Bandiera Cina

Giapponese: 染料
                                 Bandiera Giappone

Arabo: صبغ
                                 

Greco: βαφής
                                 Bandiera Grecia

Rumeno: Vopsirea
                                 Bandiera Romania

Olandese: Verven
                                 Bandiera Olanda