venerdì 31 agosto 2012

Tintura egizia

Si deve al suo clima secco e quasi privo di piogge alla sabbia asciutta del suo deserto , se in Egitto si sono conservati quei resti del passato che ci permettono oggi di sollevare un lembo del velo della sua antichissima storia. Un passato che ci parla anche del mondo del colore: quasi sempre
infatti i monumenti (le statue, i templi le abitazioni o le tombe) erano abbellite di decorazioni di colore che fanno pensare ad un culto vero e proprio.

La decorazione del tempio per mezzo del colore deve essere eterna come eterni sono gli Dei. Ma nel campo dei tessuti, vista la caducità del materiale stesso, solo pochi reperti sono stati rinvenuti, perlopiù risalenti al vestiario di mummie del 2500 A.c. 
Qui troviamo gli Egizi del Medio Regno, maestri nell'arte della tintura. Come abbiamo già detto, il cotone, ma soprattutto il lino era la fibra più comune in Egitto, perché cresceva facilmente sulle sponde del Nilo, ma la lavorazione e la tintura del lino non erano facili e presupponevano conoscenze
particolari e grande esperienza
Inoltre riporta Erodoto che gli egizi ritenevo essenzialmente puri i manufatti di cotone e di lino mentre per quelli di fibra animale come la lana tale era la sentenza : 
‘’..con abiti di lana non è permesso entrare nei templi , con abiti di lana non si viene nemmeno sepolti. ‘’
Si deve agli egizi il primo vero ‘’codice’’ o manuale che dir si voglia, che riguarda la tintura delle fibre tessili : il papiro Holmiensis o codice di Stoccolma o se si vuole papiro di Leiden o Leidensis. (Sono la stessa identica cosa.)
Fu scoperto per caso nel 1828 nelle vicinanze di Tebe. Scritto in greco arcaico e risalente forse al III° sec a.C, rimase poi per anni sepolto in qualche baule finche alla fine del XIX secolo non fu donato alla Regia Accademia di Stoccolma da un certo Jhoann D’Anastasy, in quel tempo console generale ad Alessandria. E da qui il nome di papiro di Stoccolma.
Non era un papiro nel senso classico del termine ma una serie di fogli rilegati tra loro a forma di libro da qui la definizione di ‘’codice’’. Fu tradotto per la prima volta nel 1906 da un filologo : Otto, a cui dobbiamo le prime notizie storiche scritte sulla tintura dei manufatti tessili in Egitto e delle 152 ricette trascritte : 9 riguardano i metalli , 73 le pietre preziose e 70 le tinture dei tessili.
Quel che sorprende di questi papiro è che è praticamente esente da influenze mistico- magiche, quali si sarebbero potute supporre visti i tempi.
Non mancano certamente termini difficilmente decifrabili come per esempio ‘’sangue di colombo’’ che può essere un nome fittizio per il minio o anche il cinabro.
Ma se ben si pensa anche nella nostra lingua moderna non ci sono forse nomi fantasia come ‘’ sangue di drago’’’ o ‘’occhio di gatto ‘’?...... Dalla gamma di coloranti ( il nome generico è indicato col termine greco pharmakon ) viene messo in rilievo il guado per la colorazione azzurra, qui chiamato col nome di Isatix o Anthrax e viene fatta perfino una descrizione dettagliata delle qualità e dei metodi per ricavare il guado .
Per contro non viene neppur menzionato l’indaco da esso fornito e si parla di ricette per tingere con bacche di chermes , robbia (riza) e oricello e di altri agenti tintorii importanti come la radice d’Alcanna, della Buglossa il cui tono rosso porpora è stato usato fino a tempi recenti nella cosmetica e dell’ arbusto di Henna che fornisce un colore giallo aranciato che era altrettanto conosciuto agli Egizi perché lo avevano incominciato a importare da Cipo, via mare, già a partire dal 1300 a.C
Ma la maggior parte delle ricette parlano della tintura con la porpora, colorante costosissimo a quei tempi , (ma attenzione!) Non considerano l’uso della porpora vera e propria ( che si otteneva dal Murex Brandaris e da altri tipi di Murex, molluschi della famiglia dei Gasteropodi e che era pressoché monopolio dei Fenici, ma bensì i modi e i trucchi per ottenere tramite tutti i mezzi di tintura possibili, frutto di anni e decenni di sana pratica, una ottima o buona imitazione
della porpora !!!.
Niente di nuovo sotto il sole. 

Per esempio utilizzavano un lichene denominato Kosthos o Kisthos e aggiungendo oricello e aceto ottenevano un colore porpora molto solido alla luce,oppure dopo che in tessuto era stato mordenzato con ruggine ed aceto , cioè con acetato di ferro , si cercava di produrre toni porpora con oricello , schiuma di indaco,radice di Alcanna e bacche di chermes.Si parlava con fierezza del tono porpora ‘’genuino’’ ottenuto in questo modo e si tentava di denigrare la tintura importata da Tiro definendola spregiativamente con l’attributo di ‘’barbara’’ .
Ed infine riguardo a questo papiro ,come non parlare di Ostanes, in questo papiro più volte menzionato, sacerdote priore del tempio di Menfi custode dall’arte segreta di tingere ,che può essere considerato come un progenitore della tintura e della sua divulgazione. A lui è attribuito l’aforisma :
‘’la natura si serve della natura La natura si compiace della natura, la natura soggioga la natura’’
Una curiosità : Tra i discepoli di Ostanes tra il 300 e il 250 a.C ci fu anche un una discepola Ebrea di nome Maria che viene anche lei qui menzionata perché avrebbe scritto un libro a sua volta sui metalli e sulla tintura della porpora.
Gli egizi avevano importanti giacimenti di allume di potassio che sapevano usare come mordente: mordenzando con allume, ottenevano un bei rosso di robbia. Altri mordenti comuni erano l'urina, il succo di limone e quello di altre piante. I colori venivano ricavati da diverse piante comuni in Egitto e in Medio Oriente, come l'hennè (Lawsonia Inermis) con cui si tingevano bene sia il lino sia la lana e che veniva anche usato in cosmesi. Questo colorante, infatti, ancora comunissimo nell'Africa settentrionale e in Medio Oriente, ancora oggi serve per la tintura del capelli e della barba.
Dai fiori di cartamo (Carthamus tinctorius), o zafferanone, venivano estratti due colori. Il primo, giallo, solubile in acqua, si otteneva lasciando a bagno i fiori, o agitandoli nell'acqua; il secondo, rosso, era molto più pregiato, ma, non essendo solubile in acqua, aveva dei tempi e dei modi di lavorazione molto più complessi.
Il rosso di cartamo proveniente dall'Egitto era il migliore del mondo. I gialli più belli erano ottenuti dallo zafferano (Crocus Sativus), e dalla Curcuma (Curcuma Longa). Il giallo-zafferano proviene dagli stimmi dei fiori di Crocus ed è molto solido e brillante, mentre il giallo della curcuma si ottiene dal rizoma polverizzato di questa pianta e da un colore bellissimo, ma poco solido. Nei mercati dell'Africa settentrionale, del Medio Oriente e dell'Oriente si trova la polvere di curcuma, che oggi viene usata quasi esclusivamente in cosmesi; si aggiunge all'acqua del bagno e serve per ammorbidire la pelle e renderla delicata.
II colore azzurro veniva estratto in Egitto, come del resto in tutto il mondo antico, da alcune specie di Indigofera (Indigofera Tinctoria, Argentea ,ecc.), o di Isatis Tinctoria. 
Tutte queste piante non danno direttamente l'indaco: il colore azzurro si ottiene con vari processi di fermentazione delle foglie e di ossidazione.
Tutti questi azzurri di indaco sono colori solidissimi e tingono qualsiasi tipo di fibra, sia animale che vegetale, ma la gradazione e l'intensità del colore varia a seconda del processo di estrazione e della qualità della pianta. Gli Egizi, inoltre,conoscevano diversi blu e in particolare il blu lapislazzulo e un blu turchese di cui ancor oggi non si conosce l'esatta provenienza. Mescolando sapientemente i tre colori base, il rosso, il giallo, il blu, si ottengono tutti gli altri colori, ma negli egizi non troviamo il gusto dei colori composti. Nelle pitture delle tombe egiziane i vestiti hanno spesso una caratteristica particolare, hanno diverse gradazioni della stessa tinta, dal rosso al rosa, cioè,dall'ocra al giallo. 

Tintura nella preistoria

L'uomo primitivo ha cominciato con l'utilizzare le pietre colorate e le argille per disegnare sulle pareti delle caverne la realtà che lo circondava. Le grotte della Spagna e della Francia, come quelle di Altamira e di Lascaux, risalenti all'epoca paleolitica (attorno al 25.000 a.C.), sono ornate di meravigliosi disegni tracciati con polvere di carbone, carbonato di calcio, crete e ocra, diluiti in sostanze grasse o succhi vegetali. Probabilmente solo in un secondo tempo l'uomo è riuscito a tingere delle fibre naturali, cioè a riportare su lana e su lino i colori che venivano ricavati dalle argille e dai vegetali.Sappiamo comunque che nell'epoca neolitica (3000 a.C.) l'uomo si era socialmente organizzato in gruppi e, dal nomadismo, era passato alla vita sedentaria e produttiva del villaggio.Si sono trovati interessantissimi resti dei villaggi costruiti su palafitte, nella pianura padana e soprattutto a Ledro, nel Trentino. In questo periodo abbiamo le prove che la filatura e la tessitura erano fiorentissime, e che, parallelamente a queste arti, si era sviluppata la tintura.  Anche in Austria, vicino a Salisburgo, si sono trovati resti di villaggi costruiti su palafitte e la particolare natura del terreno, ricco di sali, ha permesso la conservazione dei tessuti e dei colori che sono poi stati analizzati. Si è trovato anche un colore verde, ricavato da azzurro di guado e giallo di uva ursina, che rivela tecniche abbastanza avanzate e una buona conoscenza dell'arte della tintura.
L’uomo preistorico, come gia detto in precedenza, conosceva bene sia i coloranti minerali, come è testimoniato da reperti quali la ceramica dipinta e i ciottoli ornati, sia dalle analisi sulle pitture parietali, che i coloranti vegetali. Questi ultimi sono meno attestati in quanto più facilmente alterabili e si degradano molto rapidamente nel suolo.
Studi paleobotanici testimoniano la presenza di piante e frutti tintori in molti siti: questi potrebbero essere stati usati come alimenti, lettiere, combustibile o medicinali. Ma sicuramente fili e tessuti, corde, intrecci e stuoie erano tinti: non è pensabile che ceramiche ed ornamenti fossero vivamente colorati e che nello stesso tempo i tessuti non lo fossero. Basta pensare alle pitture parietali del Paleolitico Superiore, oppure alla varietà incredibile di colori dei tessuti tribali moderni. La stessa complessità tecnica raggiunta nella fabbricazione dei tessuti doveva ricevere ancor più risalto dal contrasto dei fili tinti con diversi colori.
I coloranti venivano ricavati dalle essenze spontanee, piante ed alberi, le cui proprietà tintorie erano state riconosciute attraverso la raccolta per l’alimentazione e per le altre attività della vita quotidiana.
Il filato veniva dapprima trattato con alcune sostanze chiamate mordenti, per pulire bene la fibra, rendere la tinta insolubile nell’acqua e così fissarla tenacemente: questa operazione si chiama mordenzatura. Sulla base di confronti etnografici e storici, potevano essere usati a questo scopo l’urina, umana o animale, l’acqua salata, l’argilla, l’allume e la cenere, soprattutto quella di piante come la saponaria e la consolida. Altri mordenti vegetali sono il tannino, ricavato da corteccia di quercia, salice, nocciolo, galle della quercia, liquidi di fermentazione di frutti e bacche. Il tannino e le galle potevano essere utilizzate anche per la concia dei pellami. Il filato veniva poi tinto macerandolo in acqua calda o fredda insieme alla pianta sminuzzata.
Il colore ottenuto dipendeva da vari fattori: dalla parte della pianta che veniva usata, dal tipo di mordenzatura, dal procedimento seguito, dal tipo di recipiente usato durante le operazioni, dalla fibra stessa, con tutta la gamma di sfumature possibili all’interno di una stessa tinta.

Con la scoperta della lavorazione dei metalli , prima il rame poi il bronzo e infine il ferro , che hanno modificato profondamente tutta la vita dell'uomo primitivo, i metodi di filatura, tessitura e tintura sono radicalmente cambiati, e da questo momento si può ricostruire la storia dell'artigianale tessile e tintorio con maggior precisione.