venerdì 7 settembre 2012

Medioevo

In epoca romana la seta era quasi sconosciuta, e solo nei primi secoli dell'era cristiana, quando cominciarono gli scambi con l'Oriente, i sontuosi tessuti cinesi di seta arrivarono in Europa. I costumi medievali, poveri e severi, non permettevano certo che lo sfarzo orientale si diffondesse fra il popolo, ma la classe sacerdotale e la corte imperiale, specialmente quella dell'imperatore Giustiniano (VI secolo) approfittarono largamente di quanto di più lussuoso offriva il commercio con l'Oriente. Pare che il baco da seta sia stato introdotto in occidente, dalla Cina, in quel periodo e alcune città dell'Italia meridionale e della Sicilia divennero centri di allevamento di bachi da seta,naturalmente, legate all'allevamento del baco, fiorirono le industrie collaterali di filatura, tintura e tessitura.
Queste attività, ancora artigianali, ma estremamente raffinate, erano in mano a diversi gruppi di Ebrei; Rispondendo alla richiesta sempre più pressante dei nuovi prodotti, alcuni gruppi di tintori e tessitori Ebrei si spostarono dall'Italia meridionale (Amalfi, Gaeta ecc.) alla Toscana. Da quel momento ebbe inizio la storia dell'industria tessile Toscana che, con periodi più o meno fortunati, è durata fino ai nostri giorni.




Attorno all' VIII secolo a.C., i Greci colonizzarono le coste italiane e le isole vicine: arte, industria, artigianato, commercio ecc. ebbero un grandissimo sviluppo. E' particolarmente interessante seguire la storia dell'arte della tintura. I greci introdussero in Italia le esperienze dei fenici, dei cretesi, e degli egizi, popoli maestri nell'arte tintoria. Dobbiamo qui ricordare che il mondo greco era ,a differenza di quanto si creda , un mondo di colori. Le sculture i bassorilievi che sono giunti fino a noi rivelano che in realtà spesso si trattava di sculture policrome. Niente di più errato pensare al Partenone  o alle statue Fidia come a qualcosa  solo e unicamente color del marmo con cui sono stati costruiti.
I greci , non avrebbero mai  scolpito, per esempio nel marmo del peloponneso che aveva  fasce e strisce più o meno grigie. Lo faranno i Romani e successivamente i Bizantini , di bocca più buona ,scopiazzando statue,bassorilievi e quant'altro senza guardare troppo per il sottile utilizzando quello che era a portata di mano. Ma i Greci  no. I Greci cercavano l'assoluto  e quindi preferivano  il marmo pario o il pentelico e se trovavano una macchia tagliavano il pezzo e inserivano un tassello, ma questo anche  per una ragione pratica e artigianale : l'aganosis , ovvero la lucidatura con cera con cui gli artisti greci rifinivano le statue , per renderle liscie e lucide come l'avorio e per poi dipingerle.
La maggior parte dei  lavori  in scultura del periodo classico sono policromi a sfondo bianco 

Ma torniamo ai colori e ai tintori dell'Enotria… Taranto divenne famosa per l'applicazione della tintura con la porpora e con l'oricello (Roccella Tinctoria), già conosciuto a Creta e presso i Fenici. L' oricello è un lichene che veniva usato insieme alla porpora per abbassarne un pò il costo.
Gli etruschi, che avevano rapporti commerciali con i greci e i fenici, impararono a usare la robbia (Rubia Tinctorum), lo zafferano, il pastello o guado, e l ‘Isatis  Tinctoria che serviva per tingere in azzurro ed era comune nel bacino del Mediterraneo e nel nord dell'Europa, prima dell'introduzione dell'indaco indiano.

Nell'antica Roma i costumi erano molto severi e fino al vi secolo a.C. le vesti dei cittadini romani erano del colore naturale della fibra con cui erano tessuti. I rapporti commerciali e politici con gli etruschi e con i greci, portarono a una maggiore raffinatezza dei costumi e alla ricerca del colore e del lusso. Nella Roma di Plauto, 251-184 a.C., i tintori erano addirittura suddivisi a seconda della tintura in cui erano specializzati, così, a esempio, i Violarii tingevano in viola, i Crocearii tingevano in giallo e le Officinae Purpurinae erano adibite esclusivamente alla tintura con la porpora . A Pompei sono ancora visibili dei resti di tintorie che risalgono al 79 d.C., l'anno dell'eruzione del Vesuvio che distrusse la città, e in questi laboraton si sono trovati resti di vari coloranti. Il kermes, di cui abbiamo già parlato, era usato a Roma per ottenere il rosso; altre piante comunemente usate dai romani erano: la malva, che dava un certo tipo di azzurro, la reseda, la curcuma e la ginestra per ottenere i gialli, la noce di galla, il mallo di noce ecc. per i bruni e i neri. Come mordenti si conoscevano i solfati di rame e di ferro, l'allume di rocca e la ruggine sciolta in aceto ( acetato di ferro ). La fibra tessile più usata e più diffusa, oltre al cotone, al lino e, a volte, alla canapa, era la lana.

L'oriente

La Cina e tutti i popoli dell'Estremo Oriente conoscono la seta da tempi antichissimi. In manoscritti che risalgono al in secolo a.C. si sono trovate delle notizie su come coltivare il baco da seta, filare e tingere la seta stessa. In Cina come coloranti venivano usati il cartamo (gialli e rossi), il somacco (giallo), il mirtillo (blu e lillà), l'indaco, che era utilizzato in vari modi, e di tanti altri coloranti non sappiamo ancor oggi come venivano utilizzati o da quale pianta, insetto o minerale venivano ricavati. Per molti secoli l'arte della seta, dalla coltivazione del baco al tessuto finito, è stata una prerogativa delle corti imperiali. I segreti della tintura erano tenuti da pochi tintori abilissimi che vivevano nei recinti dei palazzi imperiali e non potevano divulgare nessuna notizia in proposito. Le materie coloranti venivano usate fresche, ma sappiamo che venivano anche conservate con metodi a noi sconosciuti. In Giappone, per tingere la seta, si ricavavano i colori anche dalle alghe marine, anzi questa era una specialità del popolo giapponese, amante delle tinte tenui e raffinate. I filati per i più bei kimono erano tinti con alghe, usando il metodo delle legature di cui abbiamo parlato a proposito dell'India.

In Giappone, con questo metodo, tingevano la sottilissima seta, così i tintori e i tessitori giapponesi, lavorando in perfetto accordo, riuscivano a ricavare sui tessuti dei meravigliosi disegni a più colori. In questa rapida panoramica sulla tintura nel mondo antico, non possiamo ignorare l'America dell'epoca precolombiana e gli abilissimi tintori indiani dell'America settentrionale. Nell'America centrale toltechi, maya e aztechi e nell'America meridionale gli incas ,erano così avanzati nell'arte della tintura che,dopo la conquista spagnola hanno rivoluzionato le millenarie tecniche tintorie dell'Europa.

In Perù si sono ritrovate stoffe di raffinata fattura, risalenti al 2500 a.C. in lana, in cotone, in alpaca, in vicuna dai colori nero, violetto, azzurro di indaco (ma diverso da quello indiano), rosso di cocciniglia (un insetto parassita del cactus: Dactilopius Coccus Cacti), i bruni ottenuti da radici, i gialli dal legno di piante locali. Molte di queste materie coloranti sono state largamente diffuse in Europa dopo i viaggi di Cristoforo Colombo, alla fine del 1400.

Gli indiani dell'America del Nord tingono e conciano le pelli usando ancor oggi piante locali e seguendo le segrete ricette tramandate dai progenitori. Particolarmente interessanti sono i totem di legno dipinti a vivaci colori e i bellissimi cesti che gli indiani intrecciano con grande abilità.

Medio oriente e Fenici

II Medio Oriente ha una storia antichissima e ricchissima. Nelle terre bagnate dall'Eufrate e dal Tigri si sono succedute le più importanti e le più ricche civiltà antiche dal 4000 a.C. in poi: i Sumeri, gli Accadi, i Babilonesi, gli Assiri, i Caldei i Persiani e sulle coste del Mediterraneo i Cananei che poi diverranno i Fenici. Tutti questi popoli sono stati maestri nell'arte della tessitura e della tintura,ma, mentre gli Egizi amavano la semplicità delle vesti di lino, fatte a piccole pieghe e tinte con pochi e sobri colori, nei Babilonesi troviamo il gusto dallo sfarzo, la ricchezza dei colori, la pesantezza delle vesti ricche e infiocchettate.
Questi popoli erano grandi allevatori di pecore e montoni da cui ricavavano la lana fibra facilissima da filare , da tingere e da tessere. I colori vengono assorbiti molto bene dalla lana e rimangono vivaci e lucenti, e i Babilonesi e i Caldei sfruttavano sapientemente queste proprietà della lana. Quasi sempre tingevano la lana in fiocco, cioè non ancora filata, poi durante la filatura e la tessitura i colori venivano mescolati mirabilmente.

Anche nella Bibbia si parla spesso di tessitura e di tintura, vi sono descrizioni di tessuti,di vesti e di città particolarmente ricche di tintorie e di telai.E anche per gli ebrei la tintura doveva essere molto costosa, infatti dai reperti archeologici riguardanti le antiche tintorie possiamo vedere come vi fossero degli accorgimenti, speciali vasche e contenitori, che permettevano di recuperare anche la più piccola parte del liquido colorante. Probabilmente gli Ebrei tingevano in matassa e non in tessuto e questo si può dedurre dalla forma e dalle dimensioni delle vasche nelle tintorie. I coloranti più comuni e particolari erano il kermes (Coccus Ilicis), un parassita della quercia, da cui si otteneva il rosso ; la Porpora fenicia, carissima ma molto bella, che dava il color porpora e il violetto; le galle di quercia, il mirtillo e il bitume del mar Morto da cui si ottenevano i neri.

I più famosi tintori del mondo antico mediterraneo furono i Cananei, detti più tardi Fenici. Questo popolo attivissimo ha la fama di aver scoperto la tintura con la porpora, una delle più alte realizzazioni della chimica tecnologica del mondo antico, tra il 1450 e il 1400 a.C. Anche se non fossero stati proprio i Fenici a scoprire la porpora, ma altri popoli, i Cretesi a esempio, certo è merito dei Fenici di aver saputo ben utilizzare la porpora, sia industrialmente sia commercialmente, e di aver tenuto segrete le ricette per molti secoli. Essa era così famosa da dare il suo nome alla regione comprendente la Palestina e la Siria, in quanto‘'Canuan‘'originariamente significava appunto "Terra della porpora. " Questa gente, fuggita dal Golfo Persico seguito ad un terremoto s'era stabilita lungo la costa mediterranea orientale dove aveva fondato le città di Tiro e Sidone. Nel secondo millennio passò sotto l'influenza e, in certi periodi, sotto il dominio dell'Egitto: dominio che venne sconvolto dall'invasione degli Ittiti (1198-1166 a.C.), apportatori di rinascita del popolo fenicio, destinato a diventare la prima nazione marinara del Mediterraneo.

Quantunque la cultura Cananea sia stata presa a prestito quasi per intero dai popoli dell'Egitto, della Mesopotamia e dell'Egeo, nondimeno i Fenici compensarono con un lusso favoloso ciò che mancava loro in fatto di capacità creativa ed in originalità  ed erano indubbiamente eccellenti artigiani nella produzione di svariatissimi articoli, tra i quali gli elaborati componenti dell'abbigliamento. Come si sa la porpora si ricavava estraendola con un laborioso processo lavorando la secrezione estratta dalle conchiglie di alcuni molluschi marini, particolarmente il Murex Trunculus; il Murex Brandaris, la Porpora haemastoma ed altri simili. Questi gasteropodi hanno una vescichetta contenente un liquido giallastro, che al contatto  con l'aria diventa rosso. Ricavare il rosso da questi animaletti non era facile: la quantità di colorante era minima e andava utilizzata subito.

I Fenici, che allevavano i Murex sulle coste del Mediterraneo, avevano fatto di Tiro e di Sidone i due maggiori centri di commercio dei manufatti tinti con la porpora. Probabilmente il bisogno di nuovi spazi per la coltura dei Murex aveva spinto i fenici ad allontanarsi sempre più dalle loro terre e a creare dei nuovi centri commerciali in tutto il Mediterraneo e oltre. La porpora è una tintura carissima e ormai introvabile, ma i fenici sapevano sfruttarla molto bene:

………Le sue mani puzzano ed hanno lo stesso odore del pesce putrido . I suoi occhi sono fortemente marcati alla stanchezza…

Così nel papiro Anastasy , un opera poetica dell'anno 1400 a.C viene descritto il tintore che lavorava con la porpora.

Oltre a tingere in porpora pura, anche con due tinture sovrapposte per dar maggior ricchezza al tessuto, sapevano rendere la tintura di porpora meno cara ,  facendo una base di leggera porpora e una seconda tintura con delle materie coloranti più correnti, come lo zafferano, il mirtillo o il kermes e ottenendo delle tinte che spaziavano dall'arancio al vermiglio, al viola. Buoni clienti dei Fenici erano i sacerdoti ebrei, come ci si può render conto dalle testimonianze delle Bibbia. Dell'alta considerazione goduta dagli artigiani fenici si ha un eloquente saggio nella lettera che Salomone, accingendosi a costruire la casa del Signore, diresse ad Iram, re di Tiro :

"Mandami un uomo valente, capace di lavorare l'oro, l'argento, il rame, il ferro, la porpora, lo scarlatto, il giacinto, e che sappia fare lavori d'intaglio valendosi degli artefici che sono con me in Giudea ed in Gerusalemme, raccolti da Davide, mio padre".

Si capisce bene che Salomone per la sua prestigiosa impresa aveva bisogno di un vero e proprio direttore dei lavori dotato di una sicura conoscenza dei vari rami della tecnica. Iram poté soddisfare la richiesta e rispose:

"Ti ho mandato un uomo potente e di grandissima capacità, figlio di una donna delle figlie di Dan e di un padre di Tiro, il quale sa lavorare in oro, in argento, in rame, in ferro, in marmo, in legno ed anche in porpora, in giacinto, in bisso, in scarlatto; sa fare ogni sorta d'intagli ed inventare ingegnosamente tutto quello che occorre per qualsiasi lavoro".

Miglior ritratto di un industre Fenicio non avremmo potuto immaginare . Ma questo espertissimo le cui doti venivano così altamente magnificate non doveva essere un'eccezione nel mondo fenicio. Sappiamo infatti che altri importanti clienti degli abilissimi artigiani fenici erano i Persiani, specialmente quelli della dinastia Achemenide, amanti del lusso e dello sfarzo. Ma anche in Persia non mancavano bravi praticanti di varie arti e la loro consumata arte tintoria è stata  tramandata alle innumerevoli generazioni di creatori di stupendi tappeti. E' da credere che la specialissima rossa tintura persiana eseguita col chermes non venisse applicata solo sulle fibre tessili, ma anche sulle pelli destinate a confezionare parti del raffinato corredo d'abbigliamento.
Anche la cultura araba ha lasciato  un importatnte   codice dell'arte tintoria L'opera di Ibn Badis fornisce indicazioni pratiche per l'estrazione di materie coloranti dalle loro fonti naturali. Per esempio il verde si otteneva dalla parietaria (Parietaria officinalis L ) detta in arabo hurraq, o da aghi di pino sospesi in vecchio vino e poi immersi nel liquido quando si notava il viraggio del bagno al color bluastro. Il colore verde si applicava sui manufatti allo stesso modo del giallo, in miscela con allume. Il colore nero si produceva dalla reazione di aceto con ruggine di ferro. Le tinte gialle aranciate si ottenevano con l'estratto di cartamo (Carthamus tinctorius