venerdì 7 settembre 2012

Attorno all' VIII secolo a.C., i Greci colonizzarono le coste italiane e le isole vicine: arte, industria, artigianato, commercio ecc. ebbero un grandissimo sviluppo. E' particolarmente interessante seguire la storia dell'arte della tintura. I greci introdussero in Italia le esperienze dei fenici, dei cretesi, e degli egizi, popoli maestri nell'arte tintoria. Dobbiamo qui ricordare che il mondo greco era ,a differenza di quanto si creda , un mondo di colori. Le sculture i bassorilievi che sono giunti fino a noi rivelano che in realtà spesso si trattava di sculture policrome. Niente di più errato pensare al Partenone  o alle statue Fidia come a qualcosa  solo e unicamente color del marmo con cui sono stati costruiti.
I greci , non avrebbero mai  scolpito, per esempio nel marmo del peloponneso che aveva  fasce e strisce più o meno grigie. Lo faranno i Romani e successivamente i Bizantini , di bocca più buona ,scopiazzando statue,bassorilievi e quant'altro senza guardare troppo per il sottile utilizzando quello che era a portata di mano. Ma i Greci  no. I Greci cercavano l'assoluto  e quindi preferivano  il marmo pario o il pentelico e se trovavano una macchia tagliavano il pezzo e inserivano un tassello, ma questo anche  per una ragione pratica e artigianale : l'aganosis , ovvero la lucidatura con cera con cui gli artisti greci rifinivano le statue , per renderle liscie e lucide come l'avorio e per poi dipingerle.
La maggior parte dei  lavori  in scultura del periodo classico sono policromi a sfondo bianco 

Ma torniamo ai colori e ai tintori dell'Enotria… Taranto divenne famosa per l'applicazione della tintura con la porpora e con l'oricello (Roccella Tinctoria), già conosciuto a Creta e presso i Fenici. L' oricello è un lichene che veniva usato insieme alla porpora per abbassarne un pò il costo.
Gli etruschi, che avevano rapporti commerciali con i greci e i fenici, impararono a usare la robbia (Rubia Tinctorum), lo zafferano, il pastello o guado, e l ‘Isatis  Tinctoria che serviva per tingere in azzurro ed era comune nel bacino del Mediterraneo e nel nord dell'Europa, prima dell'introduzione dell'indaco indiano.

Nell'antica Roma i costumi erano molto severi e fino al vi secolo a.C. le vesti dei cittadini romani erano del colore naturale della fibra con cui erano tessuti. I rapporti commerciali e politici con gli etruschi e con i greci, portarono a una maggiore raffinatezza dei costumi e alla ricerca del colore e del lusso. Nella Roma di Plauto, 251-184 a.C., i tintori erano addirittura suddivisi a seconda della tintura in cui erano specializzati, così, a esempio, i Violarii tingevano in viola, i Crocearii tingevano in giallo e le Officinae Purpurinae erano adibite esclusivamente alla tintura con la porpora . A Pompei sono ancora visibili dei resti di tintorie che risalgono al 79 d.C., l'anno dell'eruzione del Vesuvio che distrusse la città, e in questi laboraton si sono trovati resti di vari coloranti. Il kermes, di cui abbiamo già parlato, era usato a Roma per ottenere il rosso; altre piante comunemente usate dai romani erano: la malva, che dava un certo tipo di azzurro, la reseda, la curcuma e la ginestra per ottenere i gialli, la noce di galla, il mallo di noce ecc. per i bruni e i neri. Come mordenti si conoscevano i solfati di rame e di ferro, l'allume di rocca e la ruggine sciolta in aceto ( acetato di ferro ). La fibra tessile più usata e più diffusa, oltre al cotone, al lino e, a volte, alla canapa, era la lana.

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