martedì 26 febbraio 2013

Tipi di tintura per capelli


Colorazione temporanea [modifica]

Si tratta di un tipo di tintura, applicata nella forma di shampoo colorante, o lozione, che fa mantenere il colore ai capelli per un tempo relativamente breve, e va via normalmente dopo il primo lavaggio. Nel caso delle colorazioni temporanee, vengono utilizzati prodotti con un elevato peso molecolare, che semplicemente si appoggiano sulla cuticola del capello e quindi vengono rimossi facilmente.

Colorazione semipermanente [modifica]

Rispetto alla colorazione temporanea, quella semipermanente deve resistere ad un numero di lavaggi superiore, normalmente dai 4 agli 8 lavaggi. Lo scopo principale è quello di colorare i capelli bianchi o dare maggiore tono al colore naturale, ma non possono schiarire i capelli. Di conseguenza l'applicazione di colorazioni semipermanenti non richiede alcuna modifica preliminare (richiesta invece nel caso della colorazione permanente).

Colorazione permanente [modifica]

Si tratta di una colorazione che modifica definitivamente il colore dei capelli, tramite una reazione chimica di ossidazione che permette alle molecole di colore di penetrare nel capello. La colorazione permanente oltre a rendere più scuro il colore dei capelli, permette anche di schiarire, ed è resistente a qualsiasi fattore esterno, compresi i lavaggi.
Il principio della colorazione consiste nella penetrazione da parte di molecole nei pori del fusto del capello (precedentemente aumentati di dimensione, dall'idratazione e dall'alcalinizzazione). A questo punto le molecole vengono ossidate e assumono colore, che viene trasmesso alla cheratina della cuticola e della corteccia.

Decolorazione [modifica]

La decolorazione è un processo chimico simile a quello della normale colorazione, ma che anziché "depositare" il colore all'interno del fusto del capello, fa in modo che vengano disperese le molecole di colore naturali, facendo conseguentemente "perdere" il colore originale dei capelli, che tenderà a schiarirsi. Più tempo il decolorante viene lasciato agire, più molecole andranno disperse, e più chiaro sarà il risultato finale. Si tratta di un trattamento indispensabile quando si vuole passare da un colore scuro ad uno più chiaro (per esempio, dai capelli neri al biondo)

Tintura per capelli

La tintura per capelli è una tecnica con la quale viene colorato o decolorato il colore naturale dei capelli umani. Viene utilizzata per molteplici scopi che possono andare dalla copertura dei capelli bianchi, al ripristino del colore originale, "scolorito" in seguito ad altri trattamenti. Frequentemente il suo utilizzo però è quello di creare un nuovo look, tramite il cambio del colore dei capelli. I prodotti coloranti possono consistere in creme, gel o shampoo colorante.

Posizione delle tintorie nel Medioevo


Le tintorie, a causa dell’odore cattivo che emanavano, erano sempre confinate ai margini della città o fuori dalle mura, vicine a fiumi, torrenti o al mare dove era possibile scaricare i liquami di scarto. Chi lavorava all’interno delle tintorie, in Italia meridionale erano gestite in epoca federiciana (prima metà del XIII secolo) dagli ebrei, era considerato un marginale, nella maggior parte dei casi si trattava di servi o di lavoratori stagionali. Inoltre il tabù ‘dell’impurezza’ e della ‘sporcizia’, fortemente sentito nella società medievale, ricadeva su tutti coloro che lavoravano nel settore tessile: tintori, follatori (la follatura era un’operazione con la quale si facevano restringere e feltrare i panni di lana sottoponendoli a pressione, previa imbibizione in liquido adatto) e tessitori. Nelle Fiandre del XIV secolo le donne disprezzavano gli operai tessili che ritenevano repellenti a causa della puzza di urina che si portavano addosso e delle loro ‘unghie blu’, segno distintivo della vile attività.

Metodo dei tintori in epoca comunale

In epoca comunale si distingueva fra artigiani della “piccola tinta”, alle prese con i coloranti meno nobili e costosi, e quelli della “grande tinta”, che poteva disporre dei pigmenti più pregiati quali indaco, robbia, kermes e altri pigmenti preziosi. Nella maggior parte dei casi i pigmenti sono ricavati dalla macerazione e dalla cottura in acqua. Prima di entrare in contatto con questi pigmenti, il supporto da tingere necessita di un trattamento in grado di fissare il colore. Nel caso dei tessuti si parla di “mordenzatura”, che consiste nella bollitura in acqua (con temperature comprese fra i 70 e i 90° C) con sali metallici o con i cosiddetti mordenti. Dopo questo trattamento, il supporto viene immerso nel bagno di colore, dove rimarrà per il tempo necessario. Quando si tingeva con i colori naturali estratti dalle piante, la lana veniva suddivisa in matasse e per fissarne il colore bollita per un’ora nell’acqua dove preventivamente era stato sciolto il mordente (allume di rocca, anticamente estratto in giacimenti naturali). Dopo questa operazione, secondo il colore scelto, veniva bollita la parte della pianta (fiori, foglie o scorze) in acqua, per estrarre la proprietà tintoria. Una volta estratto il colore si immergeva la lana nella tintura e la si faceva bollire per il tempo prescritto.

Metodo utilizzato nel Medioevo dai tintori

La tintura dei tessuti viene eseguita in grossi recipienti di cemento o d’argilla, secondo un procedimento in uso da secoli, non molto dissimile dai moderni procedimenti industriali monocromatici. In entrambi i casi il tessuto viene immerso nel colorante e agitato per ottenere una colorazione uniforme. Nel più semplice procedimento di tintura (tintura al tino), il materiale tessile viene immerso nel colorante, che viene portato gradualmente al punto d’ebollizione e agitato in continuazione, per facilitare la penetrazione completa nel tessuto. A seconda del tipo di fibra e del colorante usato, si possono aggiungere sali o acidi che migliorano l’assorbimento del colorante. La difficoltà principale nella tintura di filati e tessuti misti è quella di ottenere la stessa gradazione di colore su ogni tipo di fibra: le fibre di cotone, ad esempio, assorbono il colore rapidamente, mentre quelle di lana, se si vuole raggiungere la medesima intensità del colore, hanno bisogno di un tempo di bollitura molto più lungo, che potrebbe addirittura danneggiarle.

Mordenti nel Medioevo


Mordenti tanninici
  • Galla
(o noci di galla) erano chiamate le protuberanze che si formano sulle foglie e nei rami degli alberi in seguito all’azione di alcuni insetti che vi depositano le uova. In presenza di sali di ferro davano una soluzione nera, usata come colorante. Nei documenti non sono citate precisamente le zone di provenienza delle galle che potevano essere di qualità pregiata, importate dall’Oriente, oppure di un tipo scadente che si raccoglieva nell’Italia meridionale.
  • Scorza
Molti erano gli alberi le cui scorze, ricche di tannino, erano usate dai tintori medievali come fissanti. In Europa le ischotze più ricercate erano quelle dell’ontano (6-15% di tannino), betulla, castagno (5-10%) e la grande famiglia delle querci: rovere, leccio, ecc. (10-15%).
  • Foglia
La foglia era considerato un ottimo fissante. Il nome della pianta dalla quale si ricavava la foglia, è il rubus fructicosus, ovvero la foglia del rovo delle more.

Mordenti potassici
  • Gromma
La gromma (o gruma) è il “cremor di tartaro” formatosi nei tini per effetto della fermentazione. Quando la gromma veniva bruciata essa rendeva le ceneri assai ricche di potassio (detto allume di feccia) e quindi veniva adoperato come ottimo mordente.
  • Allume
L’allume era il mordente a base di potassio maggiormente usato dai tintori del medioevo. Il suo impiego si diffuse in Italia soprattutto dopo che nella Toscana meridionale e nell’alto Lazio ne furono scoperti ricchi giacimenti. Il migliore era l’allume di rocca ricavato dall’allumite, un solfato basico idrato di potassio e alluminio estratto da rocce di origine vulcanica. L’allume, oltre a fissare stabilmente le tinte su ogni genere di fibra tessile, conferiva una forza illuminante che rendeva i manufatti particolarmente apprezzati sul mercato. Per tali pregi esso era oggetto di un intenso commercio che univa le zone di estrazione (Allumiere, Tolfa) ai maggiori centri dell’industria tessile italiana.
  • Cenere
Nel medioevo la cenere era impiegata per il lavaggio di lane e stoffe secondo un procedimento usato fino ai nostri giorni (ranno o cenerone), ma ebbe un largo impiego anche in tintoria, specialmente fra i tintori dell’Arte del guado. Le ceneri, ricche di potassio, ricavate dalla combustione di legna dolce e forte, erano un ingrediente indispensabile per la preparazione del bagno di colore in quanto potevano svolgere le funzioni modernamente assolte dalla soda: promuovevano cioè l’alcalinizzazione del bagno rendendo stabile il composto solubile delle tinte mediante mordenzatura delle fibre.

Sostanze utilizzate nel Medioevo.

Il guado fu la sostanza che per maggior tempo ebbe parte preminente nell’arte tintoria medievale. Con essa era possibile ottenere una ricca gradazione di azzurri che andava dai toni carichi e vivaci del “perso” e del “persiero” fino ad un celeste pallido detto “allazzato”, passando attraverso l’azzurrino, il celeste, lo “sbiadito” ed il turchino. Per ottenere alcuni colori, come ad esempio il verde e il violetto, era necessario fare prima l’impiumo che consisteva in un bagno di colore che conferiva alle fibre tessili un sottofondo di colore prima di immergerle in un ulteriore bagno per l’ottenimento del colore definitivo. Ad esempio se l’impiumo era stato al guado, le fibre avevano assunto un colore celeste, con una successiva immersione in un bagno di colore giallo (a base di scotano o di braglia) esse diventavano di un verde più o meno scuro a seconda dell’intensità del sottofondo. In Italia molte erano le zone nelle quali si coltivava il guado, anche se i centri di maggiore produzione si trovavano in Lombardia, nel bolognese, nell’aretino e in varie località umbro-marchigiane.
La robbia invece era ricavata dalla rubia Tinctorum le cui radici, contenenti alizarina, una volta essiccate, ridotte in polvere e sciolte in acqua, davano una soluzione capace di tingere le fibre tessili in un bel rosso. La robbia poteva anche essere impiegata come sopratinta o, miscelata con altri coloranti, come i petali di papavero rosso, per ottenere il “paonazzo” ed il viola.
Lo scotano, era la sostanza colorante ricavata dal legno e dalle foglie del rhus cotinus e veniva usata per colorare in giallo carico le fibre tessili. Se queste avevano subito un precedente impiumo al guado, il bagno con scotano conferiva loro un bel colore verde. Per l’elevato tenore di tannino lo scotano, opportunamente trattato con sali di ferro, serviva anche a formare grigi e neri.
Braglia è il nome dato dai tintori del medioevo ad una specie di ginestra, genestra tinctoria, i cui fiori, opportunamente trattati, liberavano una sostanza colorante capace di tingere in giallo la lana. Il verzino era ricavato, nel medioevo, dalle parti lignee della caesalpina sapan, una leguminosa proveniente dalle Indie orientali e dal Sappan, nelle isole Filippine. Il legno è ricco di un glucoside che, decomponendosi, sviluppa una sostanza detta brasiliana, questa per ossidazione si trasforma in materia colorante rossa facilmente solubile in acqua.
Il nero era facilmente ottenibile combinando sali ferrosi con l’acido tannico contenuto nella corteccia di molti alberi (castagno, leccio, faggio, quercia comune). Neri brillanti, ma assai costosi, si ottenevano impiegando galle e galloni (protuberanze che si formano sulle foglie e nei rami degli alberi in seguito all’azione di alcuni insetti che vi depositano le uova), invece a basso prezzo risultavano quelli conseguiti con materiali più vili e di facile reperibilità (ad esempio il mallo di noce) che davano però tinture assai scadenti per qualità e durata.
L’oricella era tratta da un lichene del bacino mediterraneo roccella tinctoria che fatto fermentare in un bagno di urina, assume un colore violetto carico, degradabile a paonazzo se trattata con robbia.
Il loto era una sostanza largamente usata dai tintori medievali e della quale, per le poche notizie che ci sono giunte, ignoriamo sia la precisa natura che l’impiego come colorante. La tradizione che lo voleva ricavato dal legno dell’albero del loto è forse errata, mentre maggiore credito trova l’ipotesi che vuole il lotum fabrorum un’argilla arricchita con limatura (o molatura) di ferro. Del resto nel medioevo varie qualità di argille (boli, ocre) ricche di ossidi di ferro venivano impiegate per tingere la lana in rosso e in bruno. Quando queste terre erano troppo chiare, cioè avevano basso tenore ferroso venivano mischiate con limatura di ferro che in presenza di acqua si ossidava conferendo il classico colore rosso-ruggine. I colori citati nei documenti sono comunque molteplici: l’azzurrino, colorante di probabile origine minerale, usato per tinture in azzurro e verde, il cinabro, solfuro di mercurio impiegato per il rosso, il comino, pianticella appartenente alle ombrellifere, simile al finocchio, serviva probabilmente per tingere in giallo, l’erba gualda, erba usata per tinture in verde pallido e in giallo, l’indaco per tinture in turchino e verde, laterra ghetta, ossido di piombo, usato per tinture di colore bruno.