martedì 26 febbraio 2013


Sostanze utilizzate nel Medioevo.

Il guado fu la sostanza che per maggior tempo ebbe parte preminente nell’arte tintoria medievale. Con essa era possibile ottenere una ricca gradazione di azzurri che andava dai toni carichi e vivaci del “perso” e del “persiero” fino ad un celeste pallido detto “allazzato”, passando attraverso l’azzurrino, il celeste, lo “sbiadito” ed il turchino. Per ottenere alcuni colori, come ad esempio il verde e il violetto, era necessario fare prima l’impiumo che consisteva in un bagno di colore che conferiva alle fibre tessili un sottofondo di colore prima di immergerle in un ulteriore bagno per l’ottenimento del colore definitivo. Ad esempio se l’impiumo era stato al guado, le fibre avevano assunto un colore celeste, con una successiva immersione in un bagno di colore giallo (a base di scotano o di braglia) esse diventavano di un verde più o meno scuro a seconda dell’intensità del sottofondo. In Italia molte erano le zone nelle quali si coltivava il guado, anche se i centri di maggiore produzione si trovavano in Lombardia, nel bolognese, nell’aretino e in varie località umbro-marchigiane.
La robbia invece era ricavata dalla rubia Tinctorum le cui radici, contenenti alizarina, una volta essiccate, ridotte in polvere e sciolte in acqua, davano una soluzione capace di tingere le fibre tessili in un bel rosso. La robbia poteva anche essere impiegata come sopratinta o, miscelata con altri coloranti, come i petali di papavero rosso, per ottenere il “paonazzo” ed il viola.
Lo scotano, era la sostanza colorante ricavata dal legno e dalle foglie del rhus cotinus e veniva usata per colorare in giallo carico le fibre tessili. Se queste avevano subito un precedente impiumo al guado, il bagno con scotano conferiva loro un bel colore verde. Per l’elevato tenore di tannino lo scotano, opportunamente trattato con sali di ferro, serviva anche a formare grigi e neri.
Braglia è il nome dato dai tintori del medioevo ad una specie di ginestra, genestra tinctoria, i cui fiori, opportunamente trattati, liberavano una sostanza colorante capace di tingere in giallo la lana. Il verzino era ricavato, nel medioevo, dalle parti lignee della caesalpina sapan, una leguminosa proveniente dalle Indie orientali e dal Sappan, nelle isole Filippine. Il legno è ricco di un glucoside che, decomponendosi, sviluppa una sostanza detta brasiliana, questa per ossidazione si trasforma in materia colorante rossa facilmente solubile in acqua.
Il nero era facilmente ottenibile combinando sali ferrosi con l’acido tannico contenuto nella corteccia di molti alberi (castagno, leccio, faggio, quercia comune). Neri brillanti, ma assai costosi, si ottenevano impiegando galle e galloni (protuberanze che si formano sulle foglie e nei rami degli alberi in seguito all’azione di alcuni insetti che vi depositano le uova), invece a basso prezzo risultavano quelli conseguiti con materiali più vili e di facile reperibilità (ad esempio il mallo di noce) che davano però tinture assai scadenti per qualità e durata.
L’oricella era tratta da un lichene del bacino mediterraneo roccella tinctoria che fatto fermentare in un bagno di urina, assume un colore violetto carico, degradabile a paonazzo se trattata con robbia.
Il loto era una sostanza largamente usata dai tintori medievali e della quale, per le poche notizie che ci sono giunte, ignoriamo sia la precisa natura che l’impiego come colorante. La tradizione che lo voleva ricavato dal legno dell’albero del loto è forse errata, mentre maggiore credito trova l’ipotesi che vuole il lotum fabrorum un’argilla arricchita con limatura (o molatura) di ferro. Del resto nel medioevo varie qualità di argille (boli, ocre) ricche di ossidi di ferro venivano impiegate per tingere la lana in rosso e in bruno. Quando queste terre erano troppo chiare, cioè avevano basso tenore ferroso venivano mischiate con limatura di ferro che in presenza di acqua si ossidava conferendo il classico colore rosso-ruggine. I colori citati nei documenti sono comunque molteplici: l’azzurrino, colorante di probabile origine minerale, usato per tinture in azzurro e verde, il cinabro, solfuro di mercurio impiegato per il rosso, il comino, pianticella appartenente alle ombrellifere, simile al finocchio, serviva probabilmente per tingere in giallo, l’erba gualda, erba usata per tinture in verde pallido e in giallo, l’indaco per tinture in turchino e verde, laterra ghetta, ossido di piombo, usato per tinture di colore bruno.

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