martedì 26 febbraio 2013

Metodo dei tintori in epoca comunale

In epoca comunale si distingueva fra artigiani della “piccola tinta”, alle prese con i coloranti meno nobili e costosi, e quelli della “grande tinta”, che poteva disporre dei pigmenti più pregiati quali indaco, robbia, kermes e altri pigmenti preziosi. Nella maggior parte dei casi i pigmenti sono ricavati dalla macerazione e dalla cottura in acqua. Prima di entrare in contatto con questi pigmenti, il supporto da tingere necessita di un trattamento in grado di fissare il colore. Nel caso dei tessuti si parla di “mordenzatura”, che consiste nella bollitura in acqua (con temperature comprese fra i 70 e i 90° C) con sali metallici o con i cosiddetti mordenti. Dopo questo trattamento, il supporto viene immerso nel bagno di colore, dove rimarrà per il tempo necessario. Quando si tingeva con i colori naturali estratti dalle piante, la lana veniva suddivisa in matasse e per fissarne il colore bollita per un’ora nell’acqua dove preventivamente era stato sciolto il mordente (allume di rocca, anticamente estratto in giacimenti naturali). Dopo questa operazione, secondo il colore scelto, veniva bollita la parte della pianta (fiori, foglie o scorze) in acqua, per estrarre la proprietà tintoria. Una volta estratto il colore si immergeva la lana nella tintura e la si faceva bollire per il tempo prescritto.

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